BRICS: potenzialità con rivalità

I BRICS+ sono oramai una presenza ingombrante: con la loro importanza economico-sociale sullo scacchiere internazionale, il monopolio USA (con GB, Giappone, Corea del Sud e UE) ha subito un colpo che si è fatto sentire.

I BRICS sono riusciti dove l’Occidente ha fallito. Infatti, l’alleanza “multipolare” guadagna consenso all’estero con la chimera di libertà politica ed economia libera in un contesto di pari opportunità. Al contrario delle promesse statunitense portate avanti, ad esempio, nella ex-Jugoslavia, in Afghanistan, in Iraq, a Panama, nel Libano e in Vietnam. I BRICS promettono accordi di collaborazione in quei paesi in via di sviluppo dove si ha ancora la sensazione che l’Occidente sia di stampo coloniale; mentre dove i BRICS non possono arrivare con gli accordi, semplicemente comprano ciò che gli serve o vendono i loro prodotti. Ne è un chiaro esempio la Cina con le auto elettriche verso l’Europa.

Grazie anche alla delocalizzazione e alla formazione che i paesi occidentali potevano offrire, i BRICS hanno imparato, senza farsi condizionare.

I cinesi, sempre loro, non si sono fatti soggiogare dal “sogno americano”, come invece avrebbero voluto gli USA negli anni ’90 del secolo scorso. Bensì si sono arricchiti (almeno alcuni di loro) e hanno iniziato a produrre nazionalmente prodotti che potessero fare gola ai consumatori (specialmente quelli europei).

Gli intenti economici di stretta collaborazione vengono portati avanti con la probabile adozione di una moneta unica, magari anche in versione digitale. Moneta che potrebbe alleggerire le tasche piene di dollari occidentali, visto che questi sono ancora legati al petrolio e usati come principale moneta di scambio internazionale; ma l’oro nero ora proviene per il 40% da paesi BRICS, senza contare altri potenziali alleati, così come quasi il 30% del PIL globale è BRICS.

Non bisogna però temere nulla. È vero che l’alleanza multipolare è forte, ma non è solida come l’egemonia statunitense.

Il problema di avere più teste pensanti, ognuna con i propri interessi, sta proprio nella mediazione. I tre paesi con maggiore peso politico hanno chiare visioni differenti: la Cina risulta l’elemento economico più forte nell’alleanza, ma teme ancora scontri diretti, preferendo sostenere altri giocatori come la Russia in scontri a fuoco; la Russia si è dimostrata propensa a mostrare da vicino i muscoli all’Occidente e ha guadagnato risalto all’estero, ma la guerra in Ucraina deve rimanere circoscritta per essere veramente sfruttabile; l’India ha forti legami con i paesi Occidentali, anche per le forniture di interi sistemi d’arma e come produttrice di molti dispositivi elettronici a marchio occidentale.

Rimane ancora il dubbio su quale sarà la moneta unica. La soluzione più conveniente è probabilmente lo Yuan cinese, ma ogni capo governo BRICS vuole risaltare agli occhi dei suoi cittadini, quindi ogni paese dovrà fare prima i conti entro i suoi confini e poi intraprendere un dialogo con le altre nazioni. Tuttavia, alcuni paesi sono restii a mettersi contro il dollaro. India e Indonesia trovano ancora troppo favorevoli gli scambi con questa valuta, data la natura dei loro commerci.

I BRICS, poi, non sono un’alleanza militare. Rispetto alla NATO hanno minori possibilità di guadagnarsi potere e “rispetto” con interventi coordinati sul campo.

È pur vero che, per il momento, nessuno ha veramente mollato la Russia nella sua guerra intestina, l’India non viene bloccata nei suoi battibecchi con il Pakistan e la Cina ha diverse diatribe con l’alleanza capeggiata dagli USA che si contendono le acque che bagnano il Sud-Est asiatico e l’Oceania. 

Infine, gli attriti territoriali sono presenti anche tra i tre grandi paesi dei BRICS: Russia e Cina spostano di notte le bandierine che delineano i loro confini e fanno a gara per chi arriva prima nei paesi Africani; mentre Cina e India fanno lo stesso con il loro confine.  


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