L’amore in ogni cosa

Recensione del film “Giorni perfetti” di Wim Wenders
Locandina del film Perfect Days di Wim Wenders

Nel vastissimo panorama cinematografico di quest’ultimo decennio, è impossibile non rendersi conto della sempre crescente quantità di film di successo che, però, risultano privi di spunti filosofici introspettivi.

Tra la strabordante quantità di film d’azione “nuovi” e alcune rare perle (spesso provenienti da paesi esterni all’Occidente), è stata presentata un’opera fresca e troppo poco conosciuta dal pubblico: l’ultimo lavoro di Wim Wenders, “Perfect days”.

Un solitario addetto alle pulizie dei bagni di Tokyo trascorre le sue giornate scandite da una routine precisa e costante. Questo è il soggetto scelto dal regista e sceneggiatore tedesco.

Con una carriera ammirabile alle spalle, l’artista riesce a raggiungere la vetta del suo lavoro da regista con un’opera di stampo esistenzialista.

Trascorsi i primi venti minuti, fino al concludersi della prima monotona giornata del protagonista Hirayama, chiunque si aspetterebbe un risvolto adrenalinico, catastrofico o sentimentale col cominciare del secondo giorno. Qualcosa di interessante, effettivamente, avviene, ma senza effetti speciali o intrecci di trama a cui siamo stati spesso abituati.

Ciò che tiene alta l’attenzione dello spettatore è la successione di incontri che Hirayama fa durante le sue giornate: un collega, un’amica, un vecchio pazzo e la dolce nipotina.

Trascorsi diversi anni, la giovane gli si palesa davanti e, affascinata dal suo stile di vita semplice e minimalista, vorrebbe rimanere a vivere con lui. La ragazza è l’unica persona a cui l’uomo espone la sua interpretazione dell’esistenza, ma solo perché è lei stessa a chiederglielo.

Hirayama, a differenza di falsi profeti e improbabili guru, che fastidiosamente cercano di insegnare all’uomo moderno come si dovrebbe vivere, non condivide con nessuno le sue massime e la sua interpretazione dell’esistenza. La sua visione si apre agli occhi dello spettatore grazie a quella nipote che, innocente e in cerca di un modello, chiede di mostrarle con parole e fatti ciò che un operaio sanitario pensa e vede.

Viene mostrata, quindi, senza alcuna sacralità spinta, quella filosofia di vita che unicsce le basi del vivere orientale e l’ordinarietà della vita nella società occidentale; e si diviene consapevoli della molteplicità dei punti di vista, dello stoicismo e dell’etica che si deve accettare e comprendere per capire, finalmente, la vita.

Vi è una rappresentazione realista dell’ordinarietà dell’esistenza di un gran numero di persone e in queste si sublima quella massima che molti in molti modi hanno cercato di comunicare agli uomini: la specialità dell’eterno ora.

Le frasi pronunciate dal protagonista come “Ognuno è un mondo”, “Adesso è adesso” e “Un’altra volta è un’altra volta” riescono a sintetizzare perfettamente intere correnti di pensiero. La regia è perfetta per il tipo di messaggio che si vuole dare: c’è una calma e lenta sequenzialità delle immagini che ricalca perfettamente la tranquillità di un’esistenza votata al quieto vivere.

Se nella modernità si è sviluppata la triste accettazione della visione di Schopenhauer, secondo cui nel quotidiano vi sono attimi di gioia e di tristezza e tra essi si è condannati a oscillare, in questo film si mostra chiaramente l’annullamento della prima nella seconda e uno stile di vita nel quale questo paradosso dà origine a una felicità che è punto d’arrivo e conquista per ognuno.

Così, quando Hirayama torna ad essere solo perché la nipote riparte con la madre, viene mostro il pianto per la separazione, mentre la musica estasiante di Nina Simone accompagna la scena, e viene inquadrato il viso del protagonista che è rapito dalla bellezza ineffabile e incomunicabile del vivere.

Ogni giorno, prima e dopo l’arrivo della nipote, non è altro che la banale quotidianità di moltissime persone “comuni”: la musica in macchina mentre ci si reca a lavoro e le interazioni con i colleghi. Quelli che fanno la differenza rispetto alla vita di molti, sono gli occhi entusiasti del protagonista pronto a cogliere tutte quelle meravigliose imprevedibilità che sono preludio di quella novità continua quale è perpetuamente la vita.

Tutte le giornate che dovevano essere mostrate vengono mostrate; e il film si conclude con il volto di Hirayama segnato da lacrime di pura felicità.

Wenders riesce nell’obbiettivo di portare sotto l’attenzione delle persone, rese cieche da tutto ciò che di superfluo le circonda, quella qualità dell’animo essenziale che solo il retto pensare e l’etico agire possono portare ad avere: l’amore per ogni cosa.

Non si deve cercare scopo nella propria esistenza poiché è essa stessa l’obbiettivo.

I doveri, le passioni e le relazioni sono a seconda di come le si sta vivendo.

La bellezza del tutto si apre solo a chi è disposto ad aprire il cuore e, se questo viene capito, gli scrigni di antica saggezza che i saggi hanno sempre avuto si aprono anche al più ignorante degli uomini: ognuno è pronto a vivere giorni perfetti.

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