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Le “Putin Interviews” tra Stone e Carlson

Difficile esprime cosa sia la libertà di espressione in questo secolo. Specialmente quando si parla della libertà di opinione e quella di informazione.

Qualunque sia il pensiero più vicino alla mentalità di ognuno, la libertà di espressione è una delle tante solide basi che l’Occidente vanta di possedere. È uno di quei diritti inalienabili che le democrazie devono vantare nel proprio curriculum per essere identificate come tali.

Nonostante le belle parole, rimane vero che carpire informazioni direttamente dalla fonte è sempre più difficile. Tutto viene filtrato.

Si tratti dei motori di ricerca o degli algoritmi dei social network, non bisogna mai commettere l’errore di pensare che questi siano più democratici di una rivista schierata ideologicamente.

Di casi ce ne sono stati anche recentemente. Si pensi all’IA generativa di Google: bloccata la sua capacità di modellare immagini perché accusata di essere troppo discriminatoria nei confronti dei bianchi. Ancora i Twitter files continuano a provare sempre più legami tra l’ideologia politica e le grandi compagnie tecnologiche.

Non solo i “poteri forti” hanno portato a questa deriva dell’informazione.

Data la necessità di inseguire la vita frenetica di oggi, pochi riescono ad informarsi come tutti dicono bisognerebbe informarsi. Quasi nessuno ha nella pratica il tempo di leggere una notizia, verificarne la fonte, confrontarla con la “pluralità” delle voci dei media, cercare eventuali approfondimenti di fact-checking, verificare i fact-chekers e risalire alla fonte delle smentite.

Risulta più facile prendere il cellulare, leggere il titolo (e al massimo il sottotitolo) di una notizia e farsi un’idea della situazione, anche se i titoli sono spesso fuorvianti.  

Tutti sanno che da anni il mondo è fortemente connesso, tutti hanno il proprio criterio di giudizio e chiunque deve essere lasciato libero di scegliere.

Allora, perché alcune informazioni vengono oscurate?

Per la nostra protezione? Perché capaci di danneggiare la nostra moralità?

A partire dallo scoppio della guerra in Ucraina, tutti i canali di informazione filo-putiniani, pro-Russia e contro l’Ucraina sono stati completamente oscurati, anche se alcuni senza valide ragioni per essere etichettati con simili appellativi.

Ciò che arrivava dalla Russia è annebbiato. Non si capisce bene chi dica cosa per conto di chi. Se l’informazione venga data dal ministro degli esteri russo Lavrov o se l’informazione venga diffusa dai soli servizi segreti ucraini. In particolare, nessuno in Occidente ha più sentito parlare direttamente il presidente della Federazione russa, Vladimir Putin. Il Cremlino per primo, in risposta alla censura occidentale, ha rifiutato per i passati due anni di rilasciare interviste esclusive a giornalisti occidentali.

A riportare sul piccolo schermo dei nostri smartphone il presidente Putin è stato il giornalista statunitense Tucker Carlson. Giornalista che, dopo aver lavorato per l’informazione su carta stampata, è passato alle trasmissioni per canali televisivi come CNN e Fox News conducendo diversi spettacoli di successo.

Carlson è un conservatore e sostenitore di opinioni non sempre accettate dal grande pubblico.

Con la sua intervista a Putin, Carlson è riuscito ad attirare più commenti su di sé che non sull’intervista stessa. Intervista comunque screditata e “memata” sui social già prima della sua pubblicazione.

Carlson è comunque riuscito a farsi assicurare dal proprietario dell’ex-Twitter, Elon Musk, che il video dell’intervista non sarebbe stato cancellato in alcun caso. Così, il 6 febbraio del 2024 la video-intervista è stata pubblicata sul suo sito personale e sul social network X. Poco dopo è stato possibile vederla anche su YouTube.

Quest’intervista non ha portato alla luce grandi rivelazioni politiche e nemmeno ha modificato la figura del presidente russo agli occhi del pubblico occidentale. Chi lo sosteneva continua a sostenerlo, chi lo mal tollerava continua a sopportarlo e chi lo odiava si è limitato a leggere i riassunti e i commenti di altri giornali e canali di informazioni.

L’intervista ha giusto approfondito un paio di aspetti in più rispetto alla mini serie, basata su diverse interviste fatte a Putin tra il 2015 e il 2017, che già Oliver Stone aveva registrato.

I temi ricorrenti vertono sul come mai la Russia abbia la necessità di difendersi dall’espansione NATO, sull’ostilità che gli stati occidentali mostrano nei confronti della potenza euro-asiatica, la necessità di avere alleati come la Cina e sulla questione Ucraina (oggi guerra di logoramento ad alta intensità).

Le tematiche trattate più o meno apertamente da Putin nell’intervista di Carlson, non trattate in quella condotta da Stone, sono relative al deep-state americano e al sentimento maccartista oggi più vivo che mai in diversi paesi occidentali.

La principale questione trattata nell’intervista è stata la guerra in Ucraina.

Putin ha detto che già la rivoluzione del 2014 in Ucraina è stato un errore di calcolo per il potere statunitense, il quale avrebbe dovuto prevederne l’evoluzione. Il presidente russo ha denunciato le vittime di quella mossa (tra rivoluzione colorata, Crimea e Donbass), oltre alla volontà della dirigenza ucraina di non implementare gli accordi di Minsk.

Quando scoppiò ufficialmente la guerra nel febbraio 2022, le truppe russe interruppero l’avanzata verso Kiev, in fiducia di ciò che i leader dei paesi europei promisero a Putin in merito a possibili accordi da discutere. Accordi che già non erano andati a buon fine nel 2019 quando il presidente Putin e il neoeletto Zelenskij si incontrarono al vertice di Parigi in presenza del presidente Macron e della cancelliera Merkel.

Putin, incalzato dalle domande di Tucker, ha fatto anche delle provocazioni su quanto potere decisionale Zelenskij abbia effettivamente. Il presidente russo si è chiesto retoricamente perché la sua controparte ucraina abbia bloccato la possibilità di negoziare con la Russia, quando Putin non si è mai opposto formalmente al dialogo.

Putin ha concluso il discorso Ucraina affermando che gli scontri continueranno fino a quando l’Occidente fornirà armi e che la guerra non si evolverà in un conflitto nucleare. Inoltre, la guerra non si espanderà ad altre nazioni per volontà russa. Il presidente ha asserito che tutte queste finte minacce servono solo per giustificare il rifornimento di armi all’Ucraina, così da indebolire la Russia (secondo la strategia statunitense).

Carlson ha chiesto il perché la Russia venga ancora fatta passare come il nemico principale, quando la Cina risulta un nemico più temibile (specialmente a livello economico). Putin ha risposto dicendo che l’Occidente non ha mai visto la Russia come un possibile partner.

Persino quando il presidente della Russia Él’cin, prima dell’intervento militare in Kosovo, sosteneva la politica USA in merito alle Guerre jugoslave, gli statunitensi non accettavano di buon grado il supporto russo. Successivamente, con tutti i rifiuti che Stati Uniti, per paura di perdere influenza, e NATO hanno risposto ai tentativi di Putin di avvicinarsi all’Occidente, il presidente russo ha dovuto cercare altri partner. La nazione più vicina, più geopoliticamente influente e lontana dal lungo braccio armato di Washington era la Cina.

Del resto, Putin lo disse già all’intervista di Stone: la Cina non era l’ideale di alleato che la Federazione russa cercava, ma gli USA non hanno lasciato molte altre opportunità ad una Russia accerchiata ad Est dall’UE e ad Ovest dal Giappone.

Nella visione del presidente russo il mondo è tornato ad essere bi-polare. Ha evidenziato come il dollaro sia la principale e necessaria fonte di potere per gli USA da usare verso le altre nazioni e come, al tempo stesso, questo sia il loro tallone d’Achille. Molte nazioni, non solo appartenenti ai BRICS+, tentano di aggirare il dollaro sia come moneta di scambio sia come riserve. In questo la Cina è un buon alleato russo e un rivale formidabile per l’Occidente, senza contare che tutti i membri dell’alleanza BRICS+ stanno progredendo rapidamente in ogni settore.

Per capire a quali eventi storici il presidente russo ha fatto riferimento è necessario inserire un excursus sull’evoluzione dei rapporti URSS-NATO e Russia-Stati Uniti (su una tempistica temporale ben inferiore a quella del racconto storico che Putin ha riserbato per Carlson all’inizio dell’intervista).

La possibilità che diverse nazioni dell’Est Europa (confinanti con la Russia) entrassero nell’alleanza del Patto Nord Atlantico è stata negata dalla presidenza statunitense di Bush padre a Gorbačëv e al suo entourage durante il delicato momento della Perestrojka. Una promessa mai ufficializzata, se pur testimoniata, e un’assicurazione mai mantenuta. In cinque anni a cavallo del nuovo millennio Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria, Estonia, Lettonia, Lituania, Bulgaria, Romania, Slovacchia e Slovenia entrarono ufficialmente nella NATO. Proprio durante gli anni dell’arrivo al potere di Putin per il suo primo mandato, il presidente russo provò a proporre anche la Russia come membro dell’alleanza militare capeggiata dagli USA. Questa richiesta venne immediatamente negata ufficiosamente in un dialogo tra Putin e Bush figlio. Nella pratica, invece, il divieto venne fatto intendere tramite il dichiarato supporto agli estremisti ceceni di matrici islamica durante la seconda guerra cecena. Putin ha anche fatto ben intendere durante l’intervista che dietro a queste manovre ci sarebbero stati interventi pro-attivi da parte della CIA.

Ciò portò Putin ha tenere un discorso alla Conferenza di Monaco sulla Sicurezza nel 2007 dove ribadiva la sua preoccupazione in merito all’espansione verso i confini russi del Patto Atlantico. Nel 2008, di pronta risposta, Ucraina e Georgia ricevettero l’invito ufficiale per diventare membri dell’Allenza. A quel punto persino l’ambasciatore statunitense a Mosca, oggi capo della CIA, Burns contattò i vertici negli USA per sottolineare quanto quello che si stava attuando fosse già un passo troppo lungo.

Prima che l’entrata della Georgia nella NATO venisse discussa nel dicembre dello stesso anno, Putin iniziò la sua prima vera “operazione militare speciale” per tutelare il territorio semi-autonomo dell’Ossezia del Sud su suolo georgiano e vittima delle operazioni delle forze armate georgiane. Tutto ciò dopo un’esercitazione militare congiunta USA-Georgia che vedeva un battaglione di militari statunitensi in territorio georgiano.

La Georgia, dopo cinque giorni, cambiò idea e non aderì più alla NATO.

Un altro punto evidenziato da Putin è stato la mancata rettifica nel 2002 del Trattato Anti Missili Balistici firmato nel 1972 tra URSS, con al governo il presidente del Consiglio dei Ministri Kosygin, e USA, sotto l’amministrazione Regan. In sostanza, questo trattato prevedeva la rinuncia alla costruzione di uno scudo contro i vettori di armi nucleari più distruttivi che la storia abbia mai visto.

Bisogna evidenziare il perché questo trattato sia così importante, ben più di quanto non lo sia quello contro la proliferazione nucleare. L’avere armi di distruzione di massa senza avere una difesa da esse garantisce ciò che viene definita come “MAD” (dall’inglese, Mutua Distruzione Assicurata). La paura nell’uso di tali armi dall’una o dall’altra parte è tale da impedirne l’uso stesso conoscendone i risvolti catastrofici. Se, al contrario, una delle superpotenze nucleari sviluppasse un deterrente a queste, l’uso delle armi atomiche sarebbe “giustificabile”, potendo garantire la sicurezza per i propri cittadini a fronte di una possibile risposta.

Quando Bush figlio portò a compimento il ritiro unilaterale statunitense dal trattato, iniziato dal presidente Clinton, la Russia si trovò nuovamente con un pugno di mosche in mano. Gli USA iniziarono lo sviluppo di una rete di battelli della Marina Militare degli Stati Uniti dispiegati in tutte le acque di interesse dotati di difese anti-ICBM (sensoristica e lanciatori per i missili intercettori), la messa in orbita di satelliti predisposti al solo scopo di individuare la posizioni dei vettori nucleari sul territorio delle nazioni ostili e la loro intercettazione post-lancio e il dispiegamento di lanciatori basati a terra. I mastodontici progetti iniziati durante la guerra fredda, poi ridimensionati, per lo “scudo spaziale” vennero inglobati nel nuovo sistema.

A quel punto Putin, date anche le problematiche relative ai costi di realizzazione di simili progetti militari, chiese a Bush una collaborazione tra le due superpotenze nucleari e l’Europa, arrivando persino alla proposta di condividere le tecnologie sulle armi nucleari. Gli statunitensi rifiutarono l’offerta, nonostante lo scudo fosse espressamente da intendersi in funzione anti-iraniana secondo i vertici USA.

Buona parte della difesa contro i missili balistici è stata portata avanti dal colosso industriale militare Lockheed Martin. Il suo sistema integrato Aegis (nome suggestivo che riprende lo scudo del dio Zeus e l’armatura di Atena) è sia imbarcato, sugli incrociatori della classe Ticonderoga e sui cacciatorpediniere della classe Arleigh Burke, sia stanziato a terra, in Polonia e in Romania. Le basi a terra sono state completate recentemente. Specialmente quella Polacca, attivata due anni fa, non ha chiaramente più lo scopo di difendere da una minaccia iraniana, visto che l’Iran ha ritirato la volontà di acquisire capacità nucleari.

Come ogni sistema di difesa che sia mai stato costruito, da funzione difensiva, i lanciatori Aegis possono essere riconvertiti a funzione offensiva. Questa modifica può essere effettuata con tempistiche ben più rapide di quanto un paese vicino possa predisporre una difesa appropriata. La Russia, ad esempio, vede la sua capitale situata a meno di 2.000 chilometri da Varsavia e Bucarest, mentre i missili da crociera americani, compatibili con il sistema Aegis, hanno gittata di 2.400 chilometri e capacità nucleare fino a 150 chilotoni.

Un altro trattato sul nucleare da cui gli USA si ritirarono unilateralmente fu quello per le Forze Nucleari a Raggio Intermedio. Trattato stipulato tra l’amministrazione Reagan e il presidente dell’Unione Sovietica Gorbačëv nel 1987. Entrambe le alleanze militari, quella del Patto Atlantico e quella del Patto di Varsavia, ritirarono i loro missili dall’Europa, tra cui quelli dispiegati in Italia, a Comiso.

Il caso euromissili deve essere ricordato alla stregua di quello dei missili di Cuba. L’Europa, infatti, prevede la dottrina della “risposta flessibile”: in caso di attacco massiccio, anche se convenzionale, i membri NATO possono rispondere con armi nucleari. Una risposta poteva essere condotta grazie alle armi nucleari tattiche americane, condivise con i paesi NATO senza capacità nucleare propria che possono essere autorizzate all’impiego e sganciate dai velivoli del paese dove vengono tenute secondo il sistema della doppia-chiave.

Questa tipologia di ordigni venne parzialmente sostituita nel corso degli anni ’80 da missili ben più efficaci, come missili da crociera (analoghi a quelli impiegabili oggi dai lanciatori Aegis) e vari missili balistici a raggio intermedio. Italia e Germania Ovest, tra tutti i paesi della NATO, erano le più favorevoli a questi armamenti e reticenti agli accordi con Mosca per limitare la proliferazione nucleare.

In risposta l’URSS schierò in prossimità dei suoi confini i propri IRBM basati su lanciatori mobili.

Capendo che un numero così alto di simili sistemi non avrebbe giovato a nessuno, in quanto Mosca era impossibilitata ad attaccare direttamente gli USA con queste armi e gli statunitensi non avrebbero avuto molti vantaggi ad impiegarle su suolo europeo, Washington e Mosca firmarono il trattato anti-IRBM. Gli USA lasciarono solo le bombe nucleari tattiche in numero ridotto sul territorio di alcuni paesi europei. Bombe come le termonucleari B-61 a caduta libera ancora oggi stoccate a Ghedi, in fase di sostituzione con la versione 12, e ad Aviano.

Nel 2014, lo stesso anno della rivoluzione in Ucraina e dell’annessione della Crimea come risposta da parte della Russia, l’amministrazione Obama accusò, senza poter fornire prove, i russi del collaudo di un nuovo vettore balistico a raggio intermedio: il Novator. Questo missile, però, entrato in servizio nel 2018, risulta secondo gli analisti un missile da crociera a gittata limitata. In ogni caso, l’amministrazione Trump nel 2018 uscì dal trattato con l’ulteriore argomentazione che un simile trattato indeboliva gli USA in un confronto con la Cina (nazione che non doveva sottostare a simili accordi).

Nuovamente Putin tentò una mediazione incentrando l’uso di simili sistemi maggiormente in funzione anti-Cina, escludendo il dispiegamento dei missili in Europa, ma gli Stati Uniti rifiutarono ulteriori discussioni in merito.

Alle fine del 2021 con la volontà NATO di accorciare i tempi per far entrare l’Ucraina nell’Alleanza e l’esercitazione congiunta con diversi paesi del Patto Atlantico svolte sul territorio ucraino, ai confini con la Federazione russa, nonostante questa non fosse ancora diventato membro ufficiale e con un contingente di truppe occidentale sei volte superiore a quelle in Georgia nel 2008, lo scoppio della guerra in Ucraina cinque mesi dopo non doveva essere poi troppo una sorpresa per gli analisti occidentali.

Il momento più catartico dell’intervista lo si è raggiunto quando Carlson ha chiesto a Putin un’opinione sull’esplosione dei condotti Nord Stream e Nord Stream 2. Putin ha poco velatamente accennato ad un coinvolgimento della CIA sia per possibilità sia per movente. La Germania, infatti, secondo soggetto maggiormente interessato a quei condotti dopo la Russia, non avendo più un governo forte con una linea politica ferma, non ha potuto opporsi a questo fatto. Al tempo stesso i condotti che attraversano l’Ucraina sono rimasti aperti, garantendo all’Ucraina delle entrate finanziarie continue e certe da parte della stessa Russia.

Durante tutto il discorso Putin ha più volte fatto riferimento alla CIA come testa pensante dietro alcune fasi cruciali per sfavorire la Russia: il sostegno ai separatisti nel Nord del Caucaso e la volontà di non sviluppare una difesa anti-ICBM congiunta.

In merito alle armi nucleari, Putin ha anche avvertito che le armi ipersoniche russe di recente sviluppo e altre in fase di completamento sono state la naturale conseguenza al ritiro unilaterale degli USA dai trattati.

Il presidente russo ha risposto a Carlson aggiungendo che i rapporti tra le due potenze non variano al variare del personaggio in carica, dato che il potere è detenuto dalla classe dirigente. Conseguentemente Putin ha avvertito che, se nulla cambierà nella gestione politica statunitense, prevede un inevitabile indebolimento degli Stati Uniti stessi.

Le affermazioni del presidente Putin potrebbero non essere del tutto campate in aria. Oltre alla CIA, altre realtà statunitensi sono note per detenere grande importanza decisionale, come NSA e varie fondazioni di personaggi di spicco sulla scena socio-economica occidentale.

L’NSA è, ad esempio, legata al caso Snowden: il dissidente statunitense ex-analista CIA e NSA che ha svelato come tali agenzie controllassero le attività delle persone attraverso i dispositivi elettronici. Questi tracciavano profili dettagliati, anche dei cittadini statunitensi stessi, per ogni eventuale evenienza. A seguito della divulgazione delle prove di tale reato (informazioni sensibili per l’intelligence statunitense), contrario alla Costituzione degli Stati Uniti d’America, Snowden è stato costretto a rifugiarsi in varie parti del mondo, per poi finire in Russia (che mai accetterà di estradarlo negli USA).

Il New York Times ha recentemente pubblicato un articolo nel quale descrive una collaborazione che dal 2014 vede la CIA, ma non solo, addestrare truppe d’élite, finanziare basi, ecc., in Ucraina. L’importanza degli agenti statunitensi nel paese è tale che essi sono rimasti anche dopo l’ordine di ritiro del personale voluto dall’amministrazione Biden prima dello scoppio del conflitto nel febbraio del 2022. 

Le attività di spionaggio, portate avanti con l’aiuto dell’intelligence ucraina, sono state condotte dalla CIA pur conoscendo le possibili conseguenze. In particolare, il primo commando addestrato secondo la dottrina occidentale ha presto smesso di rispondere ai vertici CIA, portando avanti azioni (anche armate) sempre più istigatorie nei confronti della Russia in Donbass.

La storia si ripete. Non è la prima quando gli statunitensi preparano gruppi militari e paramilitari alla guerra, per poi vedersi ritorcere contro queste “risorse”.

Nonostante la condotta ucraina non sempre in linea alla volontà USA, la collaborazione è continuata, vedendo persino un incremento delle relazioni durante l’amministrazione Trump.

Putin, sempre per soddisfare la curiosità di Carlson, si è espresso in merito ad alcune questioni attuali. Ha suggerito di muoversi con cautela durante lo sviluppo di impianti cibernetici e dell’intelligenza artificiale per l’impatto che queste tecnologie potranno avere in futuro.

Degno di nota il simpatico riferimento alla gaffe del Parlamento canadese che ha eseguito un’ovazione sentita al reduce nazista ex-membro di una divisione delle SS durante la Seconda Guerra Mondiale. Divisione omonima a quella oggi militante nella guerra in Ucraina.

Il Parlamento canadese, così come Zelenskij (anch’esso ospitato dal parlamento), hanno commesso un errore non conoscendo i retroscena della vita del reduce espressamente invitato come ospite d’onore.

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