Nanorobot e medicina – una promessa importante

Micromacchine in grado di penetrare nel nostro organismo, individuare eventuali patologie e curarle ancora prima di accorgerci di essere malati – questo è il sogno dietro ai nanobot.

I film di fantascienza “Salto nel Buio” e “Viaggio Allucinante” raccontano di un’utopia: i medici vengono miniaturizzati e iniettati nel corpo umano per curare le malattie direttamente. Se all’epoca questi scenari sembravano improbabili, oggi non sono più così lontani dalla realtà. Da non confondere con le nanoparticelle – formate da aggregati atomici o molecolari di diametro compreso indicativamente fra 1 e 100 nanometri e, seppur iniettabili, prive di movimento autonomo -, i nanobot sono minuscoli robot autonomi, fatti di materiali come il carbonio e il silicio, capaci di svolgere vari compiti per migliorare la salute umana. Queste piccolissime macchine possono essere inserite nel corpo e programmate per eseguire procedure mediche con precisione e accuratezza senza precedenti. I nanorobot sono composti da sensori, microprocessori, motori e sistemi di rilascio di farmaci, che lavorano insieme per muoversi nel corpo ed effettuare interventi medici. Uno dei maggiori vantaggi dei nanorobot è la loro capacità di agire a livello cellulare. Possono colpire cellule o tessuti specifici, come quelle tumorali, senza danneggiare le cellule sane. Questa precisione li rende particolarmente promettenti nel campo della medicina.

La storia dei nanobot è relativamente recente. Negli Stati Uniti, la nanomedicina è in sviluppo già dagli anni ’90, soprattutto con l’uso di nanoparticelle per la somministrazione precisa dei farmaci e per alcuni processi diagnostici. Tuttavia, con l’avvento della nanorobotica, questi studi hanno compiuto ulteriori progressi. Nel 2005 degli scienziati californiani hanno sviluppato un nanorobot dotato di due piccole zampe, capaci di muoversi e piegarsi grazie a giunture meccaniche alimentate da cellule di muscolo cardiaco di ratto, senza bisogno di alimentazione esterna. Da allora, numerosi studi sono stati condotti, e oggi ne esistono diversi esempi. Il campo più esplorato riguarda i nanobot guidati da campi magnetici. Un esempio particolare utilizza batteri magnetotattici, come il magnetococcus marinus, che seguono le linee del campo magnetico terrestre. Un team del Politecnico di Zurigo e dell’Israel Institute of Technology ha realizzato un nanofilo elastico in polipirrolo, lungo circa 15 micrometri e spesso 200 nanometri, capace di muoversi in fluidi biologici alla velocità di 15 micrometri al secondo. Questo nanobot potrebbe essere utilizzato per somministrare farmaci e per attaccare cellule tumorali, grazie al controllo magnetico. Alla Drexel University di Filadelfia è stato sviluppato un metodo che usa campi elettrici per aiutare i nanobot a rilevare ostacoli e muoversi agilmente, con potenziali applicazioni per la consegna intracorporea di farmaci e la manipolazione di cellule staminali. Un’altra tendenza nella nanorobotica riguarda nanobot a forma di “razzo” su scala nanometrica, realizzati con un mix di nanoparticelle e molecole biologiche, capaci di essere telecomandati ad alta velocità in qualsiasi ambiente. Infine, i ricercatori del California Institute of Technology hanno creato nanogru fatte di filamenti di DNA, in grado di sollevare e spostare microparticelle. Dalla collaborazione tra l’Università di Twente, nei Paesi Bassi, e la German University al Cairo, sono nati nanobot ispirati allo sperma, controllati attraverso campi magnetici deboli, per applicazioni di micromanipolazione e terapie mirate. E gli studi continuano.

La nanorobotica è una scienza che unisce chimica, fisica, scienza dei materiali e biologia per sviluppare nuove tecnologie. Le applicazioni in medicina sono molteplici. Ad esempio, nell’oncologia i nanobot possono essere utilizzati per trattamenti mirati contro il cancro. Inoltre, ci sono nanomacchine diagnostiche capaci di monitorare la chimica degli organi, permettendo un accesso diretto alle aree malate, e nanorobot dotati di trasmettitori wireless, che consentono ai medici di modificare il trattamento se lo stato di salute del paziente peggiora. Alcuni nanorobot possono essere impiantati nel sistema nervoso per monitorare l’attività delle onde cerebrali e del polso, mentre altri potrebbero persino sostituire i pacemaker tradizionali. Un grande vantaggio dei nanorobot è la loro elevata resistenza: grazie alle loro dimensioni minuscole, possono teoricamente funzionare per anni senza subire danni.

Una volta introdotti nel flusso sanguigno, i nanobot utilizzano diversi sistemi per muoversi all’interno del corpo. Alcuni di essi sono dotati di sensori che permettono di rilevare e dirigersi verso molecole specifiche. Ad esempio, possono essere programmati per individuare e distruggere cellule tumorali, riconoscendo proteine particolari presenti sulla loro superficie. Inoltre, alcuni nanobot possono autoreplicarsi, cioè creare copie di se stessi, permettendo loro di coprire una maggiore area del corpo. Questa capacità è particolarmente utile per trattare malattie diffuse, come il cancro metastatico. Altri nanobot sono dotati di microprocessori che li guidano direttamente verso le cellule infette o danneggiate, consentendo un trattamento mirato e riducendo il rischio di danneggiare le cellule sane. La coordinazione tra i nanobot è fondamentale per il loro funzionamento efficace. Alcuni di essi sono programmati per comunicare tra loro, scambiandosi informazioni sulla loro posizione e compiti. Questa comunicazione permette loro di lavorare insieme in modo efficiente. Oltre a comunicare tra loro, alcuni nanobot possono connettersi con dispositivi esterni, come smartphone o computer, per consentire il monitoraggio dei progressi e, se necessario, regolare il loro comportamento. Un aspetto cruciale per i nanobot è la loro fonte di energia, che ne determina la durata e l’efficienza. Alcuni nanobot sono alimentati dal glucosio presente nel sangue, mentre altri utilizzano fonti esterne come ultrasuoni o campi magnetici. Avere fonti di energia efficienti è importante per evitare effetti collaterali, come infiammazioni o danni ai tessuti. I ricercatori continuano a esplorare nuove soluzioni energetiche per rendere i nanobot sempre più sicuri ed efficaci.

Attualmente possiamo trattare diverse tipologie in fase di sviluppo di nanorobotica, ciascuna con funzioni specifiche. I nanorobot respirociti, ad esempio, sono globuli rossi artificiali di forma sferica, grandi un millesimo di millimetro, progettati per trasportare molto più ossigeno rispetto ai globuli rossi naturali, risultando particolarmente utili per i pazienti anemici. I nanorobot microbivori, simili ai globuli bianchi, sono molto più veloci nel distruggere i batteri, potendo eliminare le infezioni batteriche in pochi minuti. Ci sono poi i nanorobot di riparazione cellulare, capaci di eseguire interventi chirurgici a livello cellulare con una precisione tale da ridurre i danni causati dai bisturi tradizionali. I nanorobot clottociti funzionano come piastrine artificiali, accelerando il processo di coagulazione del sangue in una frazione del tempo impiegato dalle piastrine naturali. Infine, i nanorobot farmaciti sono progettati per somministrare farmaci in modo preciso e rapido, raggiungendo specifiche cellule o strutture all’interno del corpo umano per garantire un trattamento mirato ed efficace.

Il trattamento delle patologie oncologiche è uno degli ambiti più promettenti della nanomedicina. A differenza della chemioterapia tradizionale, che è invasiva e aggressiva, le nanoparticelle possono facilmente raggiungere le cellule tumorali e rilasciare il farmaco direttamente nei pressi del tumore, colpendo dall’interno e proteggendo i tessuti sani circostanti. La nanorobotica potrebbe rendere questo processo ancora più preciso ed efficace. Attualmente, i ricercatori stanno lavorando su diverse soluzioni per i nanorobot utilizzati nel drug delivery, ovvero nel rilascio di sostanze all’interno dei tumori. Questi nanorobot sono progettati con una struttura di base che include un braccio e una “mano” per posizionare il principio attivo. Da questa struttura di base, è possibile sviluppare modelli più complessi, ad esempio aggiungendo braccia per il rilascio simultaneo di più molecole. La coda del nanobot è una parte fondamentale e fissa, poiché riconosce quando il dispositivo è all’interno del tumore. Questa coda è costituita da un aptamero, un acido nucleico che si lega specificamente a determinate molecole o proteine. I ricercatori hanno progettato aptameri in grado di legarsi solo a elementi presenti nell’area del carcinoma, garantendo che il farmaco venga rilasciato esclusivamente in quella zona, senza danneggiare i tessuti sani. In alternativa all’aptamero, alcuni nanobot possono utilizzare sonde per misurare la concentrazione di ossigeno. Poiché i tumori consumano molto ossigeno, un’area con bassa concentrazione di ossigeno indica la presenza di un tumore, attivando il rilascio del farmaco. Recentemente, si è lavorato per creare nanorobot sempre più autonomi, utilizzando una tecnica chiamata Origami Science, che consiste nell’assemblare fogli di DNA per formare strutture tridimensionali. Nel 2009, i ricercatori del Dana-Farber Cancer Institute di Boston furono i primi a combinare nanotecnologie e origami, creando nanodispositivi che fungono da “cargo” per il trasporto di farmaci all’interno delle cellule. Oggi, su questi “cargo-nanorobot”, oltre all’aptamero, è possibile posizionare un enzima specifico come la trombina, che gioca un ruolo cruciale nella coagulazione del sangue. Una volta inseriti nel flusso sanguigno, i nanobot utilizzano l’aptamero per riconoscere la massa tumorale. Una volta all’interno, rilasciano la trombina, che provoca un coagulo e blocca l’afflusso di sangue al tumore, portando così alla sua necrosi.

La nanorobotica è un campo di ricerca giovane e dinamico, ancora concentrato sulla sperimentazione in laboratorio e, come osservato, la medicina rappresenta uno dei suoi ambiti di maggiore interesse. Tuttavia, ci sono due questioni importanti da risolvere. La prima riguarda la biodegradabilità dei nanobot: i modelli attuali non si degradano autonomamente nel flusso sanguigno, e la loro sicurezza e tossicità rimangono punti di interrogativo. La seconda questione è legata al movimento dei nanodispositivi nei minuscoli spazi del corpo umano, un aspetto su cui i nanobot attuali presentano delle criticità. Per affrontare queste sfide, è stato avviato il progetto europeo CELLOIDS, che mira a sviluppare nanobot in grado di muoversi autonomamente in tutto il corpo. I ricercatori si ispirano al comportamento delle cellule immunitarie, che possono modificare la loro forma per adattarsi all’ambiente e penetrare nei tessuti. La prima osservazione del movimento di uno sciame di nanorobot è stata riportata all’interno di un topo vivo, in uno studio condotto dall’Istituto di bioingegneria della Catalogna e dall’Università autonoma di Barcellona. Questo rappresenta un passo decisivo verso l’utilizzo della nanorobotica nella pratica clinica. I nanorobot si muovono autonomamente nella vescica dei topi, esplorandola in modo non invasivo, utilizzando l’urea presente nell’urina come combustibile. Le osservazioni, effettuate tramite tecniche di microscopia e PET, mostrano un movimento collettivo coordinato ed efficiente. Questi risultati offrono speranze positive per l’applicazione di questi nanodispositivi nella diagnostica e nella terapia negli esseri umani.

Un altro aspetto critico è l’assenza di standard e la necessità di un quadro normativo che regoli lo sviluppo e l’uso dei nanobot. Infatti, l’uso dei nanobot solleva dilemmi etici legati alla raccolta e all’elaborazione di informazioni personali e mediche dei pazienti. Per proteggere la privacy, è necessario adottare misure di sicurezza dei dati per prevenire accessi non autorizzati e abusi. Inoltre, è essenziale sviluppare protocolli standardizzati per la raccolta, la conservazione e la condivisione delle informazioni. Un’altra sfida è il rischio di conseguenze indesiderate. Ogni nuova tecnologia può comportare effetti imprevisti e i nanobot non fanno eccezione. La loro introduzione nell’organismo potrebbe causare infiammazioni, danni ai tessuti o reazioni immunitarie. È fondamentale testare e valutare approfonditamente questi dispositivi prima della loro implementazione su larga scala. Per essere approvati per l’uso medico, i nanobot devono soddisfare requisiti normativi e standard di sicurezza rigorosi. L’ambiente normativo per questa tecnologia è relativamente nuovo e in continua evoluzione, rappresentando una sfida per i ricercatori e gli sviluppatori. È fondamentale creare un percorso chiaro per l’approvazione normativa, affinché i nanobot possano essere utilizzati in sicurezza per migliorare la salute umana.

Tutta la materia qua presentata è in fase di studio e di sperimentazione non umana in laboratorio. Il percorso verso l’applicazione concreta sull’essere umano è ancora lungo. Ciononostante, la nanorobotica medica probabilmente è una delle più importanti promesse sul terreno del progresso scientifico.


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