Spontaneous human combustion rules out all standard candidates for dark matter di Frederic V. Hessman e di J. Craig Wheeler: questo articolo ribalta la questione e mostra un’analisi tanto peculiare quanto surreale.
La combustione umana spontanea (SHC) è un fenomeno controverso e affascinante che ha catturato l’immaginazione pubblica per secoli. Il termine si riferisce all’idea che un essere umano possa prendere fuoco improvvisamente e senza una fonte esterna di accensione, spesso con effetti devastanti, talvolta riducendo il corpo in cenere, mentre l’ambiente circostante rimane intatto. L’argomento è oggetto di numerose teorie e studi, ma non sono stati raggiunti risultati condivisi in merito all’esistenza di una reazione chimica all’interno del corpo che possa produrre tali risultati.
Il concetto di combustione umana spontanea affonda le sue radici nel XVIII secolo, quando il medico Paul Rolli descrisse un caso su una rivista scientifica, attirando l’attenzione della comunità medica e del pubblico. In generale, negli ultimi tre secoli, diversi decessi sono stati attribuiti a questo fenomeno. Uno dei primi casi documentati risale al 1725, quando Nicole Millet, una donna con problemi di alcolismo, fu trovata morta e il marito inizialmente accusato del suo omicidio. Un altro caso famoso riguarda la contessa Cornelia Bandi di Cesena, trovata quasi completamente incenerita nella sua stanza nel 1731, all’età di sessantadue anni. Nell’ambito, possiamo citare Charles Fort, ricercatore che ha documentato numerosi possibili casi di SHC, molti dei quali riportati nei suoi libri Lo! e Wild Talents. Uno dei casi più noti di SHC è quello di Mary Reeser. Quando i pompieri arrivarono sulla scena, trovarono solo un piede e una parte della colonna vertebrale intatti, mentre il resto del corpo era stato ridotto in cenere. Nonostante le pareti della stanza fossero coperte di fuliggine, non c’erano prove di un incendio tradizionale che avrebbe potuto causare simili danni. Infine, l’unico caso ad essere riconosciuto ufficialmente è quello di Michael Faherty, un uomo di 76 anni trovato morto nella sua casa in Irlanda nel 2010. Il coroner stabilì che la causa della morte era stata la combustione umana spontanea.
Il fenomeno della combustione umana spontanea ha generato numerose teorie e dibattiti nel corso degli anni. Sono stati documentati circa 120 di persone trovate incenerite. Per cremare un corpo, in genere, sono necessari almeno 1.000 gradi centigradi, eppure i resti carbonizzati di queste vittime spesso presentano temperature molto inferiori. Le spiegazioni convenzionali attribuiscono questi casi alla presenza di una fonte di calore esterna, come sigarette, pipe, camini o stufe, combinata con particolari condizioni delle vittime, che solitamente erano anziane, obese, e talvolta sotto l’effetto di alcol o sonniferi. La maggior parte delle vittime, inoltre, era inferma. Un’ipotesi plausibile è quella dell’effetto “candela inversa”: i vestiti delle vittime iniziano a bruciare e il grasso corporeo, sciogliendosi, alimenta la fiamma, proprio come farebbe la cera di una candela. Questo spiegherebbe anche perché spesso parti del corpo, come gambe e piedi, che contengono meno grasso, non vengono bruciate. Diversi esperimenti forensi condotti su corpi di maiali hanno confermato che il grasso può effettivamente comportarsi in questo modo. Una spiegazione razionale alternativa riguarda lo stato di chetosi, indotto da una dieta ricca di grassi o dall’alcolismo. Questa produce acetone, una sostanza altamente infiammabile; e si ipotizza che la presenza di acetone nel corpo potrebbe facilitare la combustione. Tuttavia, è improbabile che il corpo umano produca abbastanza acetone per giustificare l’innesco di un incendio così devastante. Ad ogni modo, il consenso scientifico attuale tende a escludere l’idea di una vera e propria combustione spontanea. Gli esperti forensi concordano sul fatto che la combinazione di grasso corporeo, fonti esterne di calore e materiali infiammabili possa spiegare i casi di presunta autocombustione umana. Tuttavia, manca ancora una spiegazione definitiva e sperimentale completa, lasciando il fenomeno aperto a ulteriori indagini.
In questo contesto possiamo parlare dell’articolo citato in principio. Gli autori ipotizzano che i casi storici di combustione umana spontanea possano essere spiegati dall’interazione del corpo umano con particelle ad altissima energia, come i raggi cosmici o la materia oscura. Successivamente, effettuano dei calcoli per valutare i limiti entro i quali questa teoria sarebbe plausibile, tenendo conto sia dei componenti ipotizzati della materia oscura, sia dei casi documentati di combustione, cercando un equilibrio tra dati e teoria. Per la visione integrale è sufficiente digitare il nome dell’articolo su internet. È particolarmente interessante notare che le conclusioni tratte sono abbastanza peculiari. I fenomeni di combustione umana spontanea e il tasso osservato impongono vincoli significativi sulle proprietà di tali particelle: la loro massa dovrebbe essere dell’ordine di 10 kg. Questa massa è del tutto inesplorata sia nella teoria che negli esperimenti ed è in netto contrasto con tutte le ipotesi precedenti. Le particelle cosmiche standard, sia di materia che di antimateria, e le particelle massicce a interazione debole (WIMP) non possono rilasciare una quantità sufficiente di energia in una piccola porzione di tessuto umano, escludendo quindi queste ipotesi. Pertanto, le particelle massicce di materia oscura rimangono l’unico potenziale fattore scatenante. Anche se i buchi neri primordiali potrebbero inizialmente sembrare buoni candidati per spiegare il fenomeno, la loro massa stimata e la densità locale di materia oscura stimata escludono questa possibilità. Inoltre, anche gli altri candidati tradizionali della materia oscura non sono idonei. Gli assioni, progettati per risolvere il problema CP, non possono essere considerati validi, indipendentemente dalla loro massa. L’unica ipotesi compatibile riguarda degli oggetti molto singolari, detti mega-assioni massivi, per i quali è teoricamente possibile costruire un’infinità di modelli a partire dalle teorie delle stringhe. Di conseguenza, deve esistere un modello di stringhe consistente con il fenomeno della combustione umana spontanea.
Questo è il collegamento più affascinante che si possa fare: dimostra come si possa trattare professionalmente una ricerca su un presunto fenomeno e vedere le conseguenze su un campo di ricerca completamente diverso.